Lettera ai ventenni maschi d’Italia
Dopo 40 giorni consecutivi di tour
Ho scritto questo
Senza poesia
Ma con amore ancora.
Basta un clic, come sempre…
Milano, 19 febbraio 2019
Carissimi ventenni maschi d’Italia.
Ho avuto modo d’incontrarvi spesso negli ultimi quaranta giorni in tante città e cittadine italiane (solo da Roma in su, a dire il vero, ma davvero un po’ ovunque- se si eccettua il sud) e sono ancora sbigottito dal bilancio che ne posso trarre, al punto da mettermi persino a la tastiera per scrivervi di getto (senza stile) nel mio primo giorno “libero”. Ciò che mi muove è qui un puro senso di scoperta mista ad allarme e dunque già, sia chiaro, anche un senso di accresciuta, implicita fratellanza. Eravate lì intorno, certo: sempre per altri motivi, ma siamo riusciti comunque più volte a risvegliare in noi il piacere dello scambio e dell’incontro, roba ancora umana, concreta. Ed eccoci qua.
Vengo subito al punto.
Ciò che balza agli occhi e alla mente nell’incontrarvi e nell’ascoltarvi con attenzione è un tratto antropologico inedito che definirei assoluto: per quanto ne so siete la prima nuova generazione della storia moderna che non stia tentando di rovesciare il mondo degli adulti ma semplicemente, direttamente, di impadronirsene; di sfruttarne con abilità e sorprendente consapevolezza punti di forza e debolezze, opportunità aperte e talvolta anche “buchi neri” (leggi pure: la legalità labile, incerta, molto italiana). Desiderate cavalcarlo subito questo mondo adulto, il prima possibile, sbandierandone “valori”, status symbol, e non più in vista di un suo superamento: basti vedere i vostri tagli di capelli, le vostre scarpe etc. (ma quello si dirà è solo moda, roba che è sempre esistita, d’accordo); basti allora, e scusate sempre i congiuntivi, ascoltare la vostra musica (io vi ascolto), quella che producete e quella che consumate in massa, la vostra amata Trap e derivati, con i vostri raduni, le vostre comunità virtuali e fisiche, quelle canzoni che inneggiano tutte senza eccezioni al possesso di gadget di lusso, in un campionario di luoghi comuni dell’uomo di successo che mette davvero i brividi tanto miserrima a me pare la vita se ridotta nei suoi scopi finali ad automobili costosissime, gioielli, abiti di tendenza, piscine private e drink e pastiglie colorate quante ne vuoi… Per tacere qui dell’attenzione normalmente dedicata al gentil sesso in quelle strofe, all’idea del femminile che traspare dai vostri dialoghi maschili e dalle vostre amate rime, tutte maschili anch’esse…
Ogni generalizzazione è una banalizzazione. Lo so. Voi invece lo sapete?
Perché insistete lucidi, determinati. Dalla parte dello slogan, di tutto ciò che è o suona già immediato, di tutto ciò che appare giovane e nuovo e finalmente mai più novecentesco. Il vostro istinto politico (di certo non ancora meditato, spero comunque non a bastanza) dispotico e sprezzante, sbrigativo, il plauso costante a chi e cosa “funziona”, a chi “ce l’ha fatta”, l’attenzione fissa al trending topic, la ricerca del consenso (cos’altro conta in fondo oggi?), le vostre serie tv, quei film tesi, girati alla grande, sul genio criminale, sempre di più…
Voi, me lo avete detto in faccia e senza mai mostrare imbarazzi, non volete scrivere il libro che cambierà la letteratura: volete invece il vostro best-seller. Voi non volete pubblicare una grande canzone: volete invece avere un grande successo, possibilmente il più cliccato. Voi non farete gli attori per esprimervi e scavarvi dentro… Voi quindi, pensateci un secondo, non volete essere voi stessi, è troppo poco, non vi basterebbe mai: volete essere innanzitutto molto popolari, famosi, e meglio se ben pagati per il solo fatto d’esserlo, non importa neanche come, basta riuscirci. Gli esempi al riguardo non vi mancano, a quanto pare. (E no, non li faccio i nomi: non sto qui a giudicare percorsi e carriere altrui. Siete voi che me li avete indicati sempre quali modelli vincenti, e tant’è.)
Siete la prima generazione a non concepire l’anticonformismo quale autentica possibilità esistenziale, nemmeno residuale. A ciò che sia oggi anche solo in odor di minoranza vi rifiutate con fierezza di appartenere, almeno pubblicamente. Siete la prima generazione a non concepire utopia? Domando. Anche i vostri amati gadget sono frutto del sogno di qualche essere umano che vi ha preceduti, lo sapevate? Persino quegli oggetti (e quelle applicazioni) discendono da un sogno individuale, da una visione, quasi sempre frutto di coraggio e incomprensione sociale spesso non solo iniziale: voi non sognate davvero altri sogni che questi – tutti già disponibili in vendita e a consegna immediata? Volete sul serio condannare il presente a questa inedita, spettacolare stagnazione in vista di un potere per il potere – fine a se stesso? E dopo, una volta che abbiate infine ottenuto questo traguardo, nient’altro? Tutto qui?
È un’impotenza veramente bellissima la vostra (siete mediamente molto belli: ma non vi aspettate più Bellezza?). Un’impotenza penetrante, ficcante, veloce, molto contemporanea e ad alta definizione, multikappa, ma si chiama appunto impotenza, è sterile di fatto: senza più il sogno d’altro e di un altrove va a finire che almeno in ipotesi è finita La Storia, no? E pure se la vostra musica è e sarà giustamente ricordata come La Rivoluzione estetica di questi anni(ogni rivoluzione essendo già per definizione l’esatto opposto della stagnazione) l’etica che però la sottende e la innerva è quanto di più reazionario e implosivo io abbia mai sentito da parte di un giovanissimo- o mi sbaglio? Potrei esservi padre, certo, e in quanto tale desto ovvia diffidenza in voi, ma oggi stupisco non poco a pensare che da tanti punti di vista io mi senta più giovane e scalpitante di voi. Più desideroso di un futuro, ma al punto in cui siamo – tutti – mi accontenterei volentieri anche solo di un presente. Un presente diverso – per Tutti, non per me.
E poi e tra l’altro, visto che ormai stiamo e stavamo appena dialogando.
Come mai, con tutti i mezzi di comunicazione che avete a disposizione e usate di continuo, vi sentite sempre più soli, addirittura a ben guardare isolati (sempre che non sopraggiunga, si capisce, il grande successo)? Come mai intendo avete così tanti bisogni di conferma del mero fatto che esistete e siete pure in qualche modo, a giorni alterni, accettati dagli altri, dal gruppo, dal branco… Come mai non vi si accende ancora il pensiero (il dubbio!) che le vostre umanissime crepe – ben nascoste sotto le divise e i linguaggi gergali di appartenenza – e le vostre sacrosante fragilità interiori siano almeno in parte una conseguenza diretta dell’assetto socio/economico (e dunque anche culturale e mass-mediatico) che non osate nemmeno contestare?
Come mai, come mai: come mai prima d’ora. È la prima volta, ragazzi, la prima volta nella Storia. Siete meravigliosi, almeno in questo sì: unici, originali. Qualcuno dovrebbe dirvelo. E il condizionale qui apre al senso, non è affatto palloso/ampolloso, guarda un po’.
Vi voglio bene e mi mancate già, quasi tutti
GC
Luoghi sparsi d’Italia in cui c’ero – fisicamente – nell’ultimo mese … Alessandria, Mondovì (Cuneo), Mussolente (Vicenza), Verona, Piove di Sacco (Padova), Milano, Firenze, Mestre, Venezia, Noceto (Parma), Roma, Genova, Bologna, Conegliano Veneto (TV), Mantova, Vignola (Modena), Brugherio (MI), Rozzano (MI), San Mauro Torinese (Torino), Brescia, Bellaria (Rimini) …