Giulio Casale – “cinque anni” nuovo EP

cinque anni

testi

Raccogliere i testi delle canzoni offre la possibilità di tornarci sopra e magari con il giusto distacco. Sono parole scritte per essere cantate e dunque certamente non di poesia si tratta. Ma nelle canzoni, nella storia della musica, ho molto amato un certo tasso letterario quando c’era: a volte fino a commuovermi, fino a scuotermi nel profondo. Fedele a quel richiamo scrivo. Buona lettura..

G

resto io

Tra amici si parlava di quanto fossimo tutti ormai costretti a una frenetica distrazione, al non aver più tempi lunghi per niente e nessuno, e qualcuno accennava anche a un senso di presa per il culo generale: soprattutto per chi non cavalcasse la nera superficialità dilagante. Verso l’alba, tornato nella mia stanza, avevo già scritto di getto l’intero pezzo, parole e musica, con la sensazione un po’ enfatica di un implicito “noi” al posto di “io”…

comunque resto io
con tutti i miei difetti e astrazioni
e sono sempre io
che non resisto ai fasci e le alluvioni

si sono presi gioco di me
embè

comunque resto io
in bilico tra rabbia forza tenerezza
di certo sono qui
sopravvissuto agli anni zero-dieci

si sono presi gioco di me
embè

comunque adesso io
dovrei magari dirti una parola
ma non ci credo mai
a certa musica che ti consola

si sono presi gioco di noi
e tu ancora ne vuoi
ancora

e non essere più amico di nessun idiota
amico
amico mio

per Paolo Benvegnù

tutto cadeva

Mi sveglio spesso in preda a immagini totalizzanti, a volte armoniose, a volte più apocalittiche.. Mi accadde lo stesso con “L’uomo coi tagli” o “Risveglio”, appunto. Un gigantesco terremoto cadenzato che ogni cosa e ogni ideale trascina giù: ma c’era pure un largo sorriso dentro al sogno, e ho cercato di salvarlo nella scrittura (e non solo).

così tutto cadeva
ma si notava da mo’
quel cartello sospeso
come piuma d’uccello
recitava la scritta
senza lividi nessuno s’illumina si macera un po’

era qualche ideale
era il conto corrente
era krishna o fidel
era la gravità
si franava era un gorgo
senza limiti nessuno si libera si lacera un po’

dopo altre due scosse
ti è passata la tosse
ti è venuta anche voglia
a costo di malintesi
di sfrenarti in un ballo
senza alibi profumi di tangeri e madagascar

e sì tutto crollava
da pechino ad l.a.
preparava uno spazio
un deserto mai visto
un bellissimo vuoto
vuoto, vuoto, vuoto, vuoto, oh

così tutto obbediva
a quel vortice rosa
e nel fluido finale
aleggiava nell’aria
quella eco lontana di umani
più umani più umani più umani più umani di noi

quasi tutto cadeva!
i capelli e l’onore!
il coraggio e il dolore!
l’atalanta e la samp
il mar rosso era vino
era sangue diviso dal viso divino caduto da noi

così tutto cadeva
ma si notava oppure no?
quel cartello sospeso
come piuma a mezzaria
quell’inutile slogan
senza lividi nessuno s’illumina si macera un po’

scolorando bice

Il dubbio più grosso era l’uso del verbo: scolorare o scolorire? È un testo pieno di ossimori e di scoperte metrico/linguistiche per me, ed era anche un vero test, dato che dovevo affrontare il tema per eccellenza della moderna pop-song.. Ho amato il lungo tempo e lavoro che mi è costata Bice. Strutturalmente non ha precedenti.

la lunga storia di un tormento
è cominciata a tradimento
comunque a tutt’oggi vive
in mezzo a sorelle e fratelli
dove andrà, dove andrà?
se son finiti i paradisi girevoli
neppure vista mare caraibico
dove cercare di nascondere e abbronzare
le ferite, soldatessa occidentale
se non puoi perderti a milano
l’amore è ancora un contromano
di te stessa

nuda al centro della piazza, bice
è la prima a dirsi “adesso son spiazzata”
se è solo un senso unico non torna
non c’è svolta né rotonda
c’era un prima e non un dopo
appartiene a un’altra razza, bice
chi sa come è fatto il danno e il disinganno
e in mezzo c’è una vasta zona brulla
come un campo a diserbante
ti addormenta e non ti culla

non è mica uscita pazza, bice
si sta solo scolorando a poco a poco
ci va una qual pazienza certosina
per tirare tutti i fili
nodi e ponti col passato

pensiamo al dato minimo
l’amore dà lo spirito
la prima volta che lo vedi
non guardavi in alto mare
amore quando arrivi arrivo a riva

arriva
no di nuovo no
arriva arriva
no di nuovo no
arriva arriva
no di nuovo no
arriva

l’amore ci dividerà
l’amore ci dividerà di nuovo

coscienza c

Qui è stata la musica a suggerirmi l’intreccio. Qualcosa su la brutalità montante dovevo scriverlo per forza, e coscienza se ci pensi è una parola bellissima, no?

vivere dovrebbe costare meno di pensare
pensare dovrebbe costare la metà di vivere

tu l’abile protetto
sorretto dal tuo bel profilo anonimo
e io volessi mai coscienza cristica
una mente veramente
equanime saprebbe
non distinguere pagliuzze e travi
dalle creme occhi e permani
rimani
così che la parabola si compia
e possa puntualmente dimostrare
il male che tu aggiungi
quando abbozzi una bestemmia vocale

vivere dovrebbe costare meno di pensare
pensare dovrebbe costare la metà di vivere

io ardo troppo in fretta
tralascio non è poi che non ardisca
tu ardisci ma così superficiale
e il tempo brucia tempo
restare non potresti
ancora un poco a soppesare
strane trame consonanti e labiali
gli strali
domanda cosa mai sa evidenziare
levare sibilanti al tuo berciare
ti cresce addosso
uno sconcerto comico sudato e banale

vivere dovrebbe costare meno di pensare
pensare dovrebbe costare la metà di vivere

e la parola era
mio genio del sociale
coscienza critica
critica
la parola era
la parola chiave
coscienza critica
critica
critica

sono corpo

Questo testo lo aspettavo o mi aspettava da almeno un decennio, da quando presi coscienza che malattia e salute passano totalmente dal vissuto e da come noi si sia in grado di metabolizzarlo o meno. Ma non è solo questo… Poi il “corpo d’amore” mi intenerisce proprio, mi scioglie.

sono il figlio che ero prima
o al limite l’assenza
la mancanza di pazienza che sale
sono in prima elementare
e in fila come tutti
la maestra quella stronza mi assale
sto per fare il militare
ma ho fumato ed ho bevuto
e vien fuori che ho tre multe da pagare
mi sto già per laureare
ma son stufo di studiare
la mia fretta di partire e di arrivare

ma prima di tutto sono un corpo
il mio corpo
perché io innanzitutto sono corpo
questo corpo
questo mio corpo
d’amore

ma prima di tutto sono un corpo
il mio corpo
perché io innanzitutto sono un corpo
d’amore

ero il figlio e sono il padre
o al limite l’assenza
la mancanza di pazienza ch’è il mio sale
ma sono ancora elementare
e in fila tutti i giorni
la maestra sempre un’altra mi assale

ma io innanzitutto sono corpo
il mio corpo
perché io innanzitutto sono corpo
questo corpo
questo mio corpo
d’amore

no, non dico l’amore
che possiamo anche fare
no, non dico l’amore
che ci capita spesso
no, non dico l’amore
che possiamo anche fare
ma l’amore
ma l’amore
ma l’amore

citazione finale tratta da
“L’impotenza” (Giorgio Gaber / Sandro Luporini)
per gentile concessione di Edizioni Curci Srl
e Fondazione Giorgio Gaber